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Carlos Tavares: il manager che non si piega, neanche dopo l’addio a Stellantis

Quando Carlos Tavares parla, l’industria si ferma ad ascoltare. Perché, piaccia o no, l’uomo che ha messo insieme PSA e FCA e ha portato Stellantis ai vertici mondiali, non è uno che manda a dire le cose. E anche dopo l’addio del dicembre 2024, l’ex CEO ha continuato a fare ciò che gli riesce meglio: guidare il dibattito.

Nel suo libro Un pilote dans la tempête — e nella lunga intervista concessa a Le Point — Tavares ha fatto quello che gli riesce naturale: difendere la sua visione, la sua buonuscita e, soprattutto, la sua libertà di pensiero. «Essere un capo è estremamente rischioso», ha detto. E ancora: «L’Europa sta sbagliando tutto con il 100% elettrico imposto troppo presto. Sta aprendo un’autostrada ai cinesi».
Una frase che in sé è già tutto un manifesto.

By Alexander Migl - Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=67559766
By Alexander Migl – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=67559766

Un addio che brucia, ma non per lui

A dicembre 2024, il portoghese lascia Stellantis dopo un confronto acceso con John Elkann. Ufficialmente “amichevole”, ma chi conosce il personaggio sa che Tavares non esce mai di scena a luci spente.

Da una parte lui accusa Bruxelles di aver imposto una transizione “ideologica”: tempi troppo stretti, regole troppo rigide, costi scaricati sui costruttori europei mentre i cinesi arrivano con prezzi imbattibili. E su questo, francamente, molti analisti gli danno ragione. I marchi cinesi stanno colonizzando l’Europa proprio nel segmento elettrico dove Bruxelles impone più vincoli che strategie.
Il problema però è che nel frattempo Stellantis — sotto la sua guida — ha virato brutalmente sull’elettrico, con obiettivi di gamma al 100% BEV in Europa già dal 2030.
Quindi sì: sembra una contraddizione, ma in realtà è una questione di metodo, non di principio.

Tavares voleva l’elettrico come scelta industriale, non come imposizione politica.
Voleva anticipare i tempi per non rimanere schiacciato da Tesla e BYD, ma allo stesso tempo non accettava che l’Europa imponesse lo stesso ritmo a tutti, togliendo libertà d’azione ai costruttori.
Lui ragionava da pilota: se devo correre, voglio scegliere la traiettoria io — non che qualcuno mi dica quando frenare e quando accelerare.

E qui nasce lo scontro con Elkann:

  • il board voleva rallentare la spinta BEV per tenere in vita margini e motori termici negli USA;
  • Tavares invece voleva spingere sull’elettrico per non perdere il treno tecnologico, ma con un approccio “industriale”, non “ideologico”.

In pratica: accusava Bruxelles di aver bruciato i tempi, ma accusava Stellantis di non tenerli abbastanza.

È la classica contraddizione di chi vede più avanti degli altri, ma si ritrova nel mezzo di due fuochi.
Troppo veloce per la politica, troppo scomodo per gli azionisti.

Il risultato? Un addio annunciato in pieno Estoril, quasi simbolico per uno che della guida ha fatto una religione. E una buonuscita da oltre 35 milioni di euro che ha scatenato la solita ondata di moralismo. Tavares, però, la difende a testa alta: «Perché accettiamo che un calciatore guadagni 100 milioni e non che un manager ne prenda 20?».

Un’eredità pesante per Stellantis

Tavares lascia una multinazionale complessa, 14 marchi sotto lo stesso tetto e una transizione elettrica ancora in mezzo al guado.
Ma lascia anche un’eredità di ferro: margini record per anni, una struttura industriale efficiente e una cultura aziendale orientata ai numeri più che alle mode.
Ora toccherà al suo successore portare avanti il “dopo Tavares”, sapendo che ogni decisione sarà inevitabilmente paragonata al suo stile da “general manager da pista”.

Il bilancio finale

Si può criticare il suo carattere, la durezza, persino il compenso. Ma non si può negare che Tavares abbia lasciato un segno.
Ha costruito, tagliato, accentrato e difeso fino all’ultimo una visione industriale che oggi manca a molti altri.
E se c’è una cosa che emerge dalle sue parole è la solita, inconfondibile coerenza: nel mondo dell’auto di oggi, dominato da finanza e burocrazia, lui resta uno degli ultimi a parlare di macchine, persone e futuro.

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